Si è letto è scritto di tutto su questo tema, si sono riuniti i più potenti del mondo per cercare di trovare una soluzione rapida, si sono stanziati fondi, si sono raccolte firme, consensi e solidarietà, ma purtroppo la situazione non cambia; gli oceani, i mari più interni, ed anche altri tipi di corsi d’acqua cone fiumi, torrenti, laghi e stagni, sono ogni giorno sempre più inquinati dall’uomo, unico vero responsabile del degrado ambientale del nostro pianeta al quale, impotenti, assistiamo negli ultimi decenni.
Strane combinazioni di correnti marine e venti hanno provocato grandi agglomerazioni di milioni e milioni di tonnellate di rifiuti nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico e, se si analizza questo fenomeno più a fondo, non ci vuole molto per capire che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio mostro che noi stessi abbiamo creato e che sta crescendo a dismisura; anche se si dovesse incontrare una soluzione drastica oggi stesso, sarebbe quasi certamente già tardi per poter fermare la sua avanzata e gli irreparabili danni che esso sta causando, ma d’altra parte si può fare ben poco se non si hanno a disposizione i mezzi giusti, e soprattutto le autorizzazioni per farlo.
Da quali materiali sono composte principalmente queste isole?
Polietilene e polipropilene, ovvero fondamentalmente la plastica e suoi derivati, costituiscono senza dubbio la parte più corposa di questi veri e propri cumuli di immondizia galleggianti, ma anche altri oggetti tra i più svariati vengono individuati all’interno di tali ‘discariche a cielo aperto’; reti da pesca, corde, ceste e trappole di varie dimensioni, distanziatori usati per l’allevamento di ostriche o mitili, boe e galleggianti di ogni genere, legno, carta e cartone, e chi più ne ha più ne metta, sono infatti anch’essi presenti in grandi quantità tra i rifiuti che abitano i l mare e che le correnti riuniscono in queste grandi isole contaminanti.
In una vasta zona di Oceano Pacifico compresa tra la California e l’Arcipelago delle isole Hawaii, si estende imponente ‘Great Pacific Garbage Pack’, la più grande chiazza di rifiuti esistente su tutto il nostro pianeta. E’ stata scoperta nel 1997 dal velista Charles Moore durante una regata che lo vedeva impegnato proprio in quella zona, e lo stesso atleta racconta di essere rimasto davvero impressionato dalle migliaia di milioni di rifiuti che in pochi minuti circondarono completamente la sua imbarcazione, tanto da iniziare a partecipare attivamente alle campagne ambientaliste.
L’Ocean Cleanup dichiara guerra all’isola di plastica del Pacifico
‘The Ocean Cleanup’, che in italiano significa ‘la pulizia dell’Oceano’, è una fondazione nata con lo scopo di sviluppare nuove tecnologie volte al recupero dei materiali inquinanti dai nostri mari, cercando inoltre di prevenire l’insorgere di altre problematiche simili che purtroppo esistono numerose.
Fondata nel 2013 da Bojan Slat, inventore ed imprenditore olandese di origini croate, questa associazione ha stabilito la sua sede operativa nel piccolo centro abitato di Delft, in Olanda, e si regge sul principio collaborativo del crowdfounding, ovvero una sorta di finanziamento collettivo che un gruppo di persone stanzia per sostenere gli sforzi di organizzazioni più grandi che lottano per una giusta causa. Nei suoi due primi anni di vita, tra autofinanziamenti e supporto di alcuni sponsor, ‘The Ocean Cleanup’ ha messo insieme circa 35 milioni di dollari, tutti spesi per estrarre rifiuti dal mare….e questo non è nulla confronto agli ambiziosi progetti per i quali si batte ancora oggi.
Disastri ecologici provocati dai rifiuti presenti in mare
Recenti studi condotti da ricercatori ed ambientalisti hanno calcolato che negli ultimi 70 anni l’uomo ha prodotto la spaventosa cifra di circa 8 miliardi di tonnellate di plastica, e se si pensa che di questa soltanto il 10% è stato riciclato, si giunge per deduzione a constatare che il 90% finisce in discariche, fiumi, mari ed oceani, causando i disastri che purtroppo ben conosciamo.
C’è anche un altro dato molto curioso che appare in queste statistiche frutto di studi e continue analisi effettuate dai maggiori Istituti Oceanografici del mondo, ed è che la quasi totalità dell’immondizia di ogni genere presente negli Oceani proviene da alcuni tra i più grandi fiumi del mondo come Gange (India), Rio delle Amazzoni (Brasile), Yangtze (Cina), Pasig (Filippine), Irrawaddy (Birmania), e ciò è confermato da etichette e dettagli nei rispettivi idiomi riscontrati sui rifiuti stessi; tali rifiuti vengono poi spinti in mare aperto da uno strano gioco di correnti sia superficiali che di profondità. I danni sono incalcolabili, soprattutto per l’ecosistema marino; flora e fauna non trovano più le condizioni naturali per crescere e riprodursi, e sono sempre di più le specie in estinzione. Bisogna fare qualcosa, e subito!
Cosa fare per limitare i danni
Non dobbiamo pensare che ripulire i mari dai rifiuti che noi stessi riversiamo in esso debba essere una preoccupazione ed un problema solo per gli ambientalisti e gli amanti della natura, questo problema va analizzato anche e soprattutto sotto altri punti di vista che ci riguardano invece molto più da vicino. La plastica non è solo quella che noi vediamo sotto forma di bottiglie, buste, nastri da imballaggio etc…ma è presente anche in sospensione nel mare; ci sono particelle e microgranuli che forse neppure riusciamo a vedere, e quasi tutti gli abitanti del mare si cibano di esse, finendo poi sulle nostre tavole imbandite a festa. Non fa rabbrividire quest’immagine? Non viene subito da pensare che magari un neonato possa mangiare omogeneizzati a base di pesce…al plastico? Beh, invece è proprio così, e non solo bisogna prenderne atto tristemente ma, se si può, bisogna subito fare qualcosa!